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Motocikli

Airbag Takata: auto richiamate e guidatori morti

June 18, 2025No Comments4 Mins Read0 Views
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Perché sono pericolosi. Storia dello scandalo degli airbag difettosi prodotti in Giappone montati su circa 100 milioni di vetture

Chiara Marchisio


18 giugno – 13:03 – MILANO

Sedici anni fa una liceale americana, alla guida della propria auto, viene colpita da alcuni frammenti provenienti dall’esplosione violenta dell’airbag, le ferite sono mortali. È il primo di una lunga serie di incidenti, l’ultimo a Reims l’11 giugno 2025, da attribuire ai dispositivi difettosi progettati e venduti dalla Takata. All’inizio degli Anni 90, l’azienda giapponese inizia a distribuire nuovi modelli di airbag sul mercato. Il costo del prodotto è più contenuto rispetto alla concorrenza e i dispositivi sono meno ingombranti. 

Perché esplodono

—  

Diverse case costruttrici li scelgono per le proprie auto. La Takata, proprio per abbattere i costi di produzione, sceglie una sostanza chimica diversa dal tetrazolo utilizzato fino a quel momento dalle altre aziende. Le bombolette di gonfiaggio degli airbag della casa giapponese funzionano con il nitrato di ammonio, più economico e facilmente reperibile (è utilizzato anche nei fertilizzanti e nei pacchetti di ghiaccio istantaneo), ma estremamente instabile. In particolari condizioni di caldo e umidità, in mancanza di agenti essiccanti, può esplodere violentemente, con conseguenze anche gravissime, come nel caso dell’esplosione di un magazzino al porto di Beirut che aveva causato 200 morti e 7.000 feriti il 4 agosto del 2020. Le quantità di sostanza presenti negli airbag, in una versione stabilizzata che si chiama Psan, sono infinitamente più piccole, ma i frammenti metallici che possono staccarsi dalla bomboletta sono in grado anche di uccidere, per la velocità (i dati Nhtsa, l’ente statunitense per la sicurezza stradale parlano di oltre 300 km/h) e la violenza con cui colpiscono conducenti e passeggeri delle auto. 

Indagini e richiami

—  

Fin dai primi incidenti degli Anni 2000, partono le inchieste delle autorità competenti, come la National Highway Traffic Safety Administration americana. L’alto numero di vittime, i morti sono 27 solo negli Stati Uniti con centinaia di feriti, dà il via a una lunga storia di richiami sul territorio globale. La prima è Honda nel 2008, poi seguono Ford, Bmw, Mazda, Citroën, DS, Toyota, Skoda, Volkswagen, tra gli altri. I veicoli coinvolti, secondo i dati giapponesi sarebbero circa 100 milioni. I danni economici fanno fallire la Takata, che chiude nel 2017 con debiti di 8 miliardi di euro e 46.000 dipendenti rimasti senza lavoro.

nuove campagne

—  

Secondo le indagini della Nhtsa, poi, ci sarebbe un secondo modello di airbag difettoso, sempre prodotto dalla Takata, che non utilizza il nitrato d’ammonio ed è montato anche su auto più recenti. Senza una lista completa delle auto interessate, le case automobilistiche continuano ad avviare nuove campagne di richiamo, anni dopo i primi airbag difettosi. L’ultima è quella Citroën (maggio 2024) per 441.000 C3 e DS3 prodotte tra il 2009 e il 2019, in cui sarebbe coinvolta anche l’auto dell’incidente di Reims. Le autorità francesi ipotizzano un errore nell’invio della lettera che chiedeva di sospendere la guida alla conducente poi deceduta. Adesso chiedono a chi possiede C3 o DS3 di non circolare e procedere al più presto con l’intervento di sostituzione secondo le istruzioni del costruttore. 

Cosa fare

—  

In alcuni casi le liste d’attesa per l’assistenza e le poche auto di cortesia a disposizione possono aumentare ulteriormente il disagio, ma il consiglio è valido per tutti, sia per evitare incidenti che possono causare gravi problemi di salute che per questioni assicurative. Per controllare se la propria auto è coinvolta in un richiamo, si può inserire il numero di telaio nelle pagine web dedicate di ogni marchio. Il sito del Ministero dei trasporti pubblica informazioni aggiornate sulle campagne attive, mentre per quelle meno recenti i bollettini semestrali con gli elenchi completi dei modelli disponibili online si fermano al 2020.

© RIPRODUZIONE RISERVATA



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